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016 - A volte ritornano - Parte 9

  • Immagine del redattore: Max Pinkle
    Max Pinkle
  • 7 mag 2018
  • Tempo di lettura: 9 min

Capitolo numero nove del nostro mirabolante viaggio nella mirabolante raccolta di mirabolanti racconti intitolata A volte ritornano. Oggi l'introduzione sarà scarna e frettolosa, perché entriamo subito nella ciccia vera, non c'è tempo da perdere!


Ti ricordo solo che potrai avere l'esistenza rovinata dal disvelamento delle trame di cui ti sto per esporre le mie (mirabolanti?) opinioni.

13 – LA FALCIATRICE

Titolo originale: The Lawnmower man

Alcuni racconti di questa raccolta sono dei puri divertissement, secondo me, ovvero piccole storielle prive di quella capacità introspettiva ed empatica a cui King ci ha abituati descrivendo i suoi personaggi: questo perché si tratta appunto di storielle divertenti, leggere e macabre allo stesso tempo.

Come un fumetto.

E devo dire che spesso sono talmente riusciti che una parola in più o in meno rovinerebbe l'effetto. E' il caso di questo La falciatrice, uscito per la prima volta sul numero di Maggio 1975 della rivista Cavalier, in cui vediamo il pigro Harold Parkette alla ricerca di un servizio a domicilio di giardinieri per falciare il prato di casa, incolto e trascurato. Lo trova nella ditta “Pastoral, Manutenzione Prati e Giardini” (in inglese il più yankee "Pastoral Greenery and Outdoor Services Inc." ), a cui Harold prenota il servizio.

Ben presto si presenta a casa Parkette un tizio panciuto, molto efficiente, che si mette immediatamente all'opera nel giardino dietro casa (il classico back-yard delle case americane; quello che mi piace di King è come riesca a sbatterci in faccia scorci di quotidianità americana, come litrate di Coca-Cola frizzante o limonata a pochi cents).

Dopo qualche minuto Harold va nel prato a osservare il lavoro in corso e ha inizio un surreale delirio: l'operaio è nudo, procede carponi dietro la falciatrice, che si muove da sola attraverso il prato; mangia l'erba tagliata e ad un certo punto, quando la falciatrice spappola una talpa, lui ingoia anche i resti della bestiola. A questa visione Harold sviene. Si sveglia dopo qualche istante, chiama la polizia, ma mentre sta parlando, la falciatrice e il suo psicotico operatore entrano in casa, maciullando il tappeto del soggiorno, il tavolino, i soprammobili e il povero signor Parkette. All'arrivo della polizia la scena è raccapricciante e ovviamente il delitto rimane irrisolto.

A dicembre del 1981 esce per il Marvel Magazine Group il numero 29 della pubblicazione Bizarre Adventures (fino al numero 24 intitolata Marvel Preview), contenente la versione a fumetti di questo racconto. Disegnato da Walter “Walt” Simonson, il disegnatore di Thor dall'83 all'87 e creatore del suo antagonista Beta Ray Bill, il fumetto è in uno scarno bianco e nero dal sapore retrò. E' stato poi ri-stampato nel 2014 in un'edizione portfolio, la cosiddetta “artist's edition”, al costo non indifferente di 40 dollaroni. Un po' esagerato per venticinque paginette (mia modesta opinione).



I FILM

Parlando di dollar babies, per questo racconto ne abbiamo uno dei primi, risalente a 31 anni or sono, e secondo me uno dei più belli nella sua assoluta semplicità.


The lawnmower man, USA – 1987 – 12 minuti, di James Gonis. Abbiamo qui una piccola perla del cinema underground, sceneggiato da Michael De Luca, e girato nel 1985 quando il regista era ancora una matricola alla New York University. Niente di speciale, ovviamente, ma se la definizione di “perla” è in effetti un po' altisonante (e lasciamelo fare!) mi viene comunque dal cuore, perché già a partire dai titoli iniziali vengo catapultato in quegli anni '80 a bassa risoluzione che mi piacciono tanto. Gli attori principali, E.D. Phillips nella parte di Harold Parkette e il grande e grosso Andy Clark nella parte di Karras, l'addetto alla falciatrice, sono impareggiabili e fanno trasparire un gran divertimento durante le riprese (confermato anche dalle parole del buon Jim Gonis). Nota curiosa: il regista attualmente ha cambiato carriera, lavorando per la Playmate Promotions, con l'arduo e spiacevole compito di selezionare modelle per i video di Playboy. Se non l'hai ancora visto, qui trovi il film.

Adesso mi tocca menzionare una pellicola che non andrebbe ricordata per un semplice motivo: è stato un mezzo imbroglio ai danni di Stephen King. Non che io sia così preoccupato per le condizioni economiche dello scrittore vivente più famoso al mondo, ma è una questione di classificazione: fa parte dei film tratti dalle opere di King o no? Di conseguenza: ha spazio su questo blog o no? La risposta è sì: se non altro perché comunque ne è nato un caso che vale la pena raccontare.

Sto parlando del film Il tagliaerbe, fatto uscire dalla New Line Cinema nel 1992, diretto da Brett Leonard, in cui figurano Jeff Fahey e Pierce Brosnan. Inizialmente si intitolava “Stephen King's The Lawnmower”, e in effetti nella locandina del film appare un omino che spinge una falciatrice in un grande prato. Fine dei legami col racconto.

Se uno segue la trama, un polpettone (anche carino, a momenti) sulla realtà virtuale e il controllo mentale, l'unico sbiadito richiamo alla storia di King è un tizio un po' indietro di mente, che, fra la proiezione di una visione cerebrale e l'altra, ogni tanto falcia un prato. Ci hai capito qualcosa? Ammetto di non saper scrivere come un professional, ma ti assicuro che se la risposta è “no”, la contorsione della trama è tutta nell'opera. Di questo si è accorto anche il buon vecchio Steve, che ingiunse (tramite processo) alla New Line Cinema di rimuovere il riferimento al suo nome dalla pellicola, e si pappò due milioncini e mezzo di risarcimento. Come si poteva leggere sull'articolo di Entertainment Weekly del 22 aprile 1994, la storia non finì qua: King infatti, tramite investigatori privati, si rese conto che la NLC, furbetta, continuò a vendere le versioni home-video della pellicola col suo nome ancora in bella mostra; la faccenda ritornò nelle aule del tribunale, e la casa editrice fu costretta a rimuovere tutte le videocassette dai negozi, pena il pagamento di diecimila dollaronzi per ogni giorno di ritardo.


Alla fine della fiera non credo che Steve King ne sia uscito così male, dopotutto. E' anche vero che, volente o nolente, la sua battaglia è vinta solo a metà, considerando che su ogni sito internet e libro che descrive le sue opere, questo Tagliaerbe è menzionato. I più corretti riporteranno questa simpatica diatriba, i più frettolosi lo includeranno senza nemmeno pensarci, com'è successo ad esempio per la collana “Stephen King in DVD” uscita nel 2006 per la DeAgostini, che contiene questo titolo come niente fosse. E adesso capirai il dilemma con cui ho iniziato questo paragrafo: alla fine anch'io sono caduto nella trappolona, da loro prevista, di menzionare questo prodotto truffaldino della New Line Cinema. E mi spingo oltre: per completezza mi tocca dirti che esiste anche un inguardabile sequel!

14 – QUITTERS, INC.

Titolo originale: Quitters, Inc.

La copertina dell'audio-libro in cassetta

Questo racconto era un inedito, scritto appositamente per la raccolta A volte ritornano. Ce ne sono di più famosi e meno famosi, com'è ovvio, e questo rientra di sicuro nella prima categoria, potendolo considerare un “classico”.

Richard "Dick" Morrison è un uomo di mezza età, un po' sovrappeso e forte fumatore. Incontra casualmente un amico del college, decisamente in forma, sano e con una carriera vincente; fra le altre cose, l'amico rivela di non fumare più, mentre agli anni del college era una “ciminiera”, e allunga al buon Dick Morrison il biglietto da visita della Quitters, Inc. (negli States la dicitura “Inc.” è l'abbreviazione di “Incorporation”, l'equivalente di una nostra “società”). Gli rivela essere un'azienda che offre un infallibile metodo per smettere. Per farla breve, Morrison va al colloquio e si convince a partecipare al programma di disassuefazione. Scopre così i metodi brutali di cui si avvale la Quitters per punire gli “sgarri” dei suoi iscritti: dapprima gli viene mostrano un coniglio che subisce uno shock elettrico, facendogli presente che se fumerà, al posto del coniglio infileranno nel dispositivo qualcuno dei suoi famigliari. La storia così procede, con un'escalation di punizioni sempre più brutali man mano che Morrison cede a delle ricadute. Alla fine del racconto, il nostro Dick è “redento”, appare più salubre e non fuma più, anzi, consiglia la Quitters Inc. ad un altro suo amico. E noi supponiamo che tutto ricominci circolarmente, un po' sgodazziamo delle nuove sventure altrui, e un po' ci spaventiamo per il poveretto.

King qui si diverte come un pazzo, lasciandoci con il dubbio se i metodi indubbiamente illegali della Quitters siano da considerarsi un sadico inutile espediente per intimorire i clienti, o un geniale atto di aiuto nei confronti del fumatore. Io, alla fine della fiera, propenderei per la seconda ipotesi, con buona pace per i mignoli amputati della moglie di Morrison.

I FILM

Ritorniamo al 1985, con quel L'occhio del gatto di cui ho già scritto nel post su Il cornicione, un film a episodi con la regia di Lewis Teague. Si tratta del primo episodio del film: troviamo James Woods nella parte di Dick Morrison (bravissimo, fresco dell'esperienza di due anni prima nell'allucinato Videodrome di Cronenberg, che ti esorto a vedere immediatamente) e Alan King nella parte dell'efficace “consulente” Vincent Donatti. Ironia della sorte, i due attori lavoreranno ancora assieme in Casinò, nel 1995.

L'episodio non si discosta molto dalla trama del racconto scritto, ma effettivamente quello che mi piace di più della pellicola è proprio la recitazione spontanea dei due protagonisti, che gli dà una marcia in più.

Imperdibile la scena in cui la moglie del fallace Dick si becca una scarica di Volt: è drammatica, ma i capelli dritti in testa fanno sempre il solletico al nostro lato disumano e sadico, per cui non riusciamo a non ridere.

Questa fu la prima collaborazione col produttore Milton Subotsky, che poi si dedicò anche alla lavorazione di Brivido (1986) e A volte ritornano (1991).

15 – SO DI CHE COSA HAI BISOGNO

Titolo originale: I know what you need

Il quindicesimo racconto della raccolta non è fra i più noti degli scritti di King, ma secondo me è un destino ingiusto, perché ha una ricetta di sicuro appeal per una storia horror: una mente deviata, una relazione d'amore distorta e un po' di manipolazione mentale. Questi ingrediente farebbero una bella ricetta anche per un film, no?

Invece no.

Ma vado con ordine, che sto incasinando le carte in tavola. La giovane Elizabeth Rogan viene avvicinata nella biblioteca del college da uno strambo ragazzo, Ed Hamner Jr., che le rivolge la parola, stupendola per la sua capacità di intuire al volo ciò di cui lei ha voglia in quel momento. Un cono alla fragola, per la precisione. Da questo appiglio Ed comincia una conversazione che lascia spiazzata la ragazza. Lui infatti non è piacevole, ha i capelli unti, una giacca sformata in cui naviga, i calzini spaiati; eppure riesce a farsi ricordare, aiutandola a

superare brillantemente l'esame di non mi ricordo quale materia; in definitiva lui e la ragazza diventano molto amici, e lei inizia a fidarsi di lui quasi ciecamente. La compagna di stanza Alice non è convinta della bontà di Ed e indaga sul suo passato, e così veniamo a scoprire che il ragazzo è innamorato di Elizabeth fin dalle elementari, ed ha sfruttato il dono di cui è dotato (quello di intuire ed anticipare i desideri delle persone), assieme ad un po' di magia nera, per ammaliare la ragazza. Per ottenere il suo scopo diventa ben più brutale: fa fuori il suo fidanzato di Elizabeth e corre a consolarla per la perdita, cercando di farla innamorare. Scopriamo così che il timido e gentilissimo Hamner è in realtà un pericoloso psicotico, bambinesco e codardo, che alla fine viene smascherato.


Il ritmo con cui King ci racconta questa storia è regolare, pacato ma inesorabile, e il crescendo è in realtà una discesa nella mente deviata e disturbata di Edward Hamner Junior, che alla fine ci appare come il mostro che è, lasciandoci... soddisfatti. Non mi viene un'altra parola, ma la chiave di questo racconto è proprio la soddisfazione di aver capito fin dall'inizio che in quel ragazzo coi capelli unti non poteva non esserci qualcosa di marcio! E bravo Steve King che ci ha fregati un'altra volta, menandoci esattamente dove voleva lui!


Non l'ho ancora scritto, ma il racconto appare per la prima volta sulle pagine del numero di Settembre 1976 di Cosmopolitan.

I FILM

Ho detto che se ne potrebbe ricavare un bel film. Per ora accontentiamoci di un dollar baby, cioé un cortometraggio (per la definizione di “dollar baby” ti rimando all'antico primo post di questa disamina infinita su A volte ritornano).


I know what you need, USA – 2005 – 33 minuti, di Shean S. Lealos. Per essere un corto non è corto: dura infatti una mezz'ora abbondante, quest'opera di un regista dall'Oklahoma che di sicuro ha preso questa sua avventura con decisa passione, visto che dieci anni dopo ha scritto anche un saggio proprio sui Dollar Babies: Dollar Deal: The Story of the Stephen King Dollar Baby Filmmakers (ovviamente non li nomina tutti, ma una ventina dei più noti ai cultori di questo brulicante mondo underground).

Il regista è incredibilmente onesto nel rivelare perché scelse questo racconto: era alle prime armi e quindi doveva affidarsi a pochi personaggi, poche location e pochi effetti speciali. Ma su una storia solida! E quindi la scelta ricadde su questo, pur se il suo preferito è Last rung on the ladder, di cui ti parlerò più avanti (nel 2026, se vado avanti così).

Dopo un primo fallito tentativo nel 2001, buttato alle ortiche perché venuto troppo male, il buon Shean si cimentò finalmente nel 2004 con le riprese finali, forte di un po' di gavetta fatta con altre produzioni.

I know what you need, USA – 2015 – 10 minuti, di Nick Gutheil. Corto in bianco e nero davvero amatoriale. In effetti non ho trovato riferimenti a questo lavoro, ci sono inciampato sopra su YouTube, dove puoi vederlo in tutto il suo splendore. A cura di tale LalliseLove Production, credo che questo lavoro non abbia lasciato traccia nella storia del cinema, ma è atterrato fra le righe di questo blog, che ormai è diventato un raccoglitore di tutte le nefandezze a nome di chiunque scriva la parola King da qualche parte nei propri lavori.

E per oggi credo di aver concluso, addirittura con una tripletta di racconti. Per evitare una dose troppo massiccia di terrore e raccapriccio, faccio come lo zio Tibia e ti saluto, mostriciattolo/a che non sei altro. Ti aspetto la prossima volta, quando dovrò parlarti dei Figli del grano e della nidiata malefica di film, figli dei figli del grano, che sono germogliati durante gli anni.

Max Pinkle

Komen


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