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013 - A volte ritornano - Parte 6

  • Immagine del redattore: Max Pinkle
    Max Pinkle
  • 20 mar 2018
  • Tempo di lettura: 9 min

Stasera me la rido! Stasera proprio me la godo! Perché sono arrivato al tredicesimo post di un blog che non sapevo nemmeno se avrei avuto la costanza di mantenere, e perché tredici è un bel numero per qualsiasi appassionato di horror e dintorni.


Non è venerdì, ma non si può avere tutto, nella vita.


E me la godo perché scrivere questo post mi ricorderà le serate passate con gli amici nella casa in montagna dei nonni ad aspettare Zio Tibia su Italia 1, in particolare alla prima volta che mi capitò di vedere Brivido.


Per me quel film significa vacanza, estate, amici, bibite fresche e film horror in compagnia, quella compagnia rumorosa che quando una scena sta per fare paura stempera tutto con un bel rutto o ridacchiando, facendo versacci. Quindi per me, nonostante la pioggia, il freddo e la nebbia, stasera è estate e i grilli stanno cantando fuori dalla mia finestra spalancata, mentre vedo la mia BMX sdraiata lucida nel prato a riflettere i raggi della luna.

Che poeta da quattro soldi, vero?

Bene, cominciamo: al solito, corri il pericolo che ti sveli una trama. Al solito, ti ricordo che questa è la sesta parte di un viaggio a più tappe a bordo di A volte ritornano, una raccolta di racconti di King del 1978, di cui ho iniziato a scrivere nei post precedenti. Questa volta non ti metto nessun link, ti lascio curiosare nel blog a tuo piacere, se ne avrai voglia. Sarebbe un bel gesto.

8 – CAMION

Titolo originale: Trucks

Le ultime volte ho avuto l'occasione di fare il sapientino, spiegando cos'è una stiro-piegatrice, chi è il boogeyman e svariate stucchevoli lezioncine. Purtroppo qui non potrò, perché tutti sanno cos'è un maledetto camion. Se vuoi te lo spiego lo stesso. No, eh? Va bene, va bene, ho capito, devo andare al sodo.


King pubblicò questo racconto nel numero di Giugno del 1973 di una rivista di nome Cavalier. Se hai già gironzolato su questo sito saprai che la maggior parte dei racconti di questa raccolta è stata pubblicata per la prima volta su questo periodico zozzo.


La storia è breve, immediata, diciassette paginette dritte al punto, una trama senza troppi giri di parole, ma tanto efficace da settare, secondo me, un nuovo standard nell'immaginario horror: la strada americana semi-deserta, la stazione di servizio, le macchine assassine...


Facciamo un riassuntino: King ci prende per il collo e ci butta immediatamente in mezzo alla situazione scottante; ci troviamo nell'emporio di un distributore di benzina, asserragliati assieme a un pugno di sconosciuti, mentre fuori un pugno (decisamente più ingombrante) di semi-articolati circonda la baracca gironzolando, senza pilota, su e giù per il piazzale.


I sei sopravvissuti all'assedio stanno cercando di uscire dalla spinosa situazione, lanciando messaggi radio e cercando di organizzarsi senza cedere al panico. Non tutti riescono, e alcuni di loro muoiono nell'impresa di fuggire o di distruggere con bottiglie molotov alcuni dei mezzi impazziti.


Il morale peggiora quando la stazione di servizio rimane senza energia elettrica, mentre la speranza si accende quando i camion iniziano a rimanere senza carburante; ma ben presto, tramite un messaggio morse, costringono gli umani a rifornirli. Il tentativo di ribellione da parte di questi ultimi fallisce, e il racconto ci mostra il narratore, stremato, davanti a una fila chilometrica di mezzi pesanti impietosi che vogliono sfruttare lui e gli altri due superstiti per un tempo indefinito. Il racconto finisce con le considerazioni disperate sul futuro in mano alle macchine, diventate la “razza dominante”.

Immediato, no? Senza fronzoli, ma anche senza speranza. Un quadretto con pochi colori, ma che sa di nafta, gas di scarico, asfalto rovente e polvere. Irreale, ma con tanti elementi, soprattutto oggetti, che conosciamo così bene, da permetti di immaginare molto realisticamente la situazione. Questa, secondo me è la forza di Camion.


Probabilmente questo piccolo racconto così semplice non avrebbe avuto un grandissimo riscontro, se non ne fosse nato un film che è per me un simbolo dell'horror anni '80: Brivido!


I FILM

BRIVIDO

FILM

Titolo originale: Maximum Overdrive

Data di uscita (USA): 25 luglio 1985

Data di uscita (Italia): 10 ottobre 1986

Regia: Stephen King

Sceneggiatura: Stephen King

Company: Dino De Laurentiis Entertainment Group

Durata: 98 min

Formato: 2,35:1

Budget: $ 10.000.000

Incasso USA: $ 7.430.000

Metti lo scrittore horror più famoso di tutti i tempi, nel 1985 all'apice della carriera e all'apice della sua dipendenza da cocaina e quindi fatto come un missile, a dirigere il suo primo film: il risultato è Maximum Overdrive, il miglior concentrato dei cliché degli anni '80 che gli anni '80 ci possano offrire. Troviamo vari simboli ormai mitologici: il camioncino dei gelati imbrattato di sangue che circola solitario per il quartiere deserto, il ragazzino biondo in bicicletta in mezzo al mondo impazzito, gli inseguimenti fra auto e camion, il tizio tutto palle con sigaro in bocca e bazooka nello scantinato, il manipolo di americani con gran fegato che prende in mano la situazione. Tutto un brodo primordiale di scene forti, disimpegnate, ridicolmente gustose.


Non fa paura ma è fantastico!


King stesso ammette di essere stato “coked out of my mind”, e di non sapere neanche cosa stesse facendo in alcuni momenti (anche vista l'inesperienza), ma evidentemente Dino De Laurentiis credeva nel progetto, se sovvenzionò dieci milioni di dollari per la produzione di questo film (chissà cos'avrebbe pensato del titolo italiano, Brivido: una cosa più inconcludente e generica difficilmente si poteva escogitare. Forse Brrrr sarebbe stato meglio).


Sul set, ammette lo stesso King, c'era un certo livello di improvvisazione, e successe anche uno sgradevole incidente, quando Armando Nannuzzi, direttore della fotografia, perse un occhio a causa di un tosa-erbe radiocomandato fuori controllo! La cosa farebbe ridere, vista l'attinenza con la trama del film, ma finì nel più serio dei modi, con una causa per 18 milioni di dollari contro Stephen King, risolta al di fuori delle aule di tribunale.

Chissà come. O meglio, chissà QUANTO.

Lo definirei un film heavy-metal: caotico nella genesi e semplice nello svolgimento.

King aggiunse parecchie scene alla trama del racconto. Il succo c'è tutto, ma condito da una serie di antefatti e vicende, che rendono possibile allungare fino a un'ora e mezza la storia, a volte forse soltanto col gusto di mostrarci quadretti horror, tutt'altro che fondamentali ma gustosi.


Una scena per fare un esempio: il distributore di lattine del campo da baseball uccide l'allenatore sparandogli addosso le bevande come fossero proiettili, i ragazzi scappano in bicicletta, ma uno è sfortunato perché un rullo compressore irrompe nel prato (!!!) schiacciandolo a partire dai piedi. Ovvio, no? Tutti questi episodi isolati ci accompagnano al punto centrale della storia, cioè la stazione di servizio assediata dai camion. Infatti i vari protagonisti si radunano lì casualmente, come in fuga dal mondo impazzito. E quando ci arriviamo troviamo finalmente i personaggi principali del film.

Piccola nota sul Dixie Boy Truck Stop: il set, costruito a dieci miglia da Wilmington, in North Carolina, era talmente realistico che alcuni passanti si fermarono veramente a chiedere un boccone e un po' di birra agli attori, tanto che a un certo punto la produzione dovette scrivere annunci sui quotidiani locali in cui avvisavano la popolazione che si trattava di un set cinematografico.


L'eroe del manipolo rinchiuso nell'emporio è Bill, interpretato da Emilio Estevez; di lui ci si può fidare, è sicuro di sé e pratico, e fin dal primo minuto si capisce che sarà il protagonista. King avrebbe voluto Bruce Springsteen per questa parte!

Il contro-eroe invece è Mr. Hendershot, il padrone della baracca, un figlio di puttana fatto e finito, senza scrupoli e senza creanza, interpretato alla grandissima da Pat Hingle; è un attore dalla lunga carriera, presente in parecchi film di Batman e nella serie Magnum P.I., ma che ti segnalo per aver interpretato Pete Watson nella mini-serie TV Shining del '97, di cui ti ho già parlato qui.


Fra questi due personaggi c'è una rosa di altri caratteri strampalati, ognuno con la propria specialità, fra cui segnalo il fantastico Christopher Murney nei panni di Camp Loman, un piazzista di Bibbie, molestatore di autostoppiste e assolutamente il più simpatico stronzo di tutto il film.


Da quando ci troviamo alla stazione di servizio, la trama più o meno segue quella del racconto, con qualche incidente sparso qua e là, qualche tentativo di fuga e qualche altro di ribellione.

Girare le scene coi camion fu una pena: erano radio-controllati ed erano soggetti a continui guasti, tanto che quando uno tornava dalle riparazioni, un altro era già pronto per essere rimesso a punto. Alcuni dei TIR furono affittati da ditte del posto, e King decise, in segno di riconoscenza, di lasciare il logo delle aziende originali sulle fiancate dei camion, sia quelle locali che le multinazionali (per la cronaca: My-T Tast-T ice cream, Miller Brewing Co, BIC Lighters, JOB Rolling Papers, Dutch Boy Imported Tobacco, Thurston Motor Lines Inc., Brdigestone Motorsport, Worsely Transport, Ryder, Zeke's Trash and Waste Removal, e una cisterna di ossigeno liquido).

Parlando dei camion, il protagonista assoluto è senza dubbio il cosiddetto Green Goblin Truck: un White Western Star 4800 totalmente nero, a parte le scritte colorate sul fianco del rimorchio (Happy Toyz) , l'immagine di un clown sul retro e al posto della mascherina anteriore, una gigantesca maschera di Green Goblin, un personaggio minore della Marvel. Non è esattamente il capo degli altri camion, ma cattura l'attenzione, quindi diventa l'icona incontrastata di questo film.

La sua storia dopo le riprese è curiosa: fu portato nel deposito di uno sfasciacarrozze (Silent Rick's Towing and Salvage, proprio a Wilmington, luogo delle riprese); la maschera verde anteriore fu mezza bruciata e abbandonata fino al 19 febbraio 1987, quando fu recuperata da un certo John Allison di Wilmington e ceduta a Tim Shockey di Piketon, Ohio. Quest'ultimo aveva una videoteca in cui la espose fino alla chiusura dell'attività e poi se la tenne nel giardino di casa per 20 anni. Fra il 2011 e il 2013 il buon Tim si è deciso a restaurarla ed ora riappare con il suo look originale a fiere ed eventi di horror e comics.

Curiosamente, nel film le automobili se ne stanno buone buone, senza attaccare nessun essere umano. Lo fanno invece alcuni altri oggetti, come tosaerba, un coltello elettrico, e perfino un video-game! (Sempre per la cronaca, nella sala giochi abbiamo mostri della storia digitale, come un flipper Bally Night Rider, un Williams Pokerino, cabinet Cinematronics Star Castle, Atari Tempest Cocktail, Konami Time Pilot '84... insomma, una fiera per quella razza stramba degli estimatori degli anni Ottanta).

Ultimta nota: la musica! King era un fan sfegatato degli AC/DC. Li avrebbe voluti nel film, ma loro rifiutarono categoricamente, dichiarando di non essere dei fottuti attori. Rimase l'opzione di comporre le musiche, che all'inizio vollero rifiutare sottoponendo King ad un'arrogante prova del nove: cantare Ain't no fun (Waiting 'round to be a millionaire), un pezzo del 1976 dall'album Dirty Deeds Done Dirt Cheap (non decisamente il loro album più famoso e tantomeno il loro pezzo più famoso). Con loro sorpresa, il buon Steve gliela spiattellò in faccia tutta, dalla prima all'ultima strofa, allora non restò loro che ridere stupiti e accettare la proposta.


Questa la leggenda, ovviamente, ma se non fosse vero fai finta che sia così, perché è una bella storia! Dalla colonna sonora fu stampato l'album Who made who, del 1987, con la title-track come pezzo originale per il film, qualche estratto strumentale, ed alcuni altri pezzi già editi negli album precedenti.

Detto tutto questo non mi resta che lasciarti il link al trailer originale del 1986, così potrai gustarti qualche immagine da questo incubo filmico.

Il film fu massacrato dalla critica e anche dal pubblico, ma come avrai capito non me ne frega niente. Per me resta nell'olimpo, per mille motivi, soprattutto nostalgici ed estetici. Cioè per nessun merito cinematografico, ma lasciamo stare: c'è di peggio. Ad esempio c'è il film di cui ti sto per scrivere fra qualche riga!


TRUCKS – TRASPORTO INFERNALE

FILM TV


Titolo originale: Trucks

Data di uscita (USA): 29 ottobre 1997

Regia: Chris Thomson

Sceneggiatura: Brian Taggert

Company: Credo Entertainment Group

Durata: 95 min

Che soddisfazione quando si passa da una pellicola triturata dalla critica ad una di cui la critica probabilmente non ha scritto nemmeno una riga! Eppure se devo dirla tutta, questo inutile remake per la TV gode di qualche scena incredibilmente gustosa, come quella in cui un camioncino giocattolo uccide il postino!

In questo senso il film è decisamente fedele allo spirito dell'originale, e anche questa volta la storia è decisamente più ricca di eventi rispetto al racconto originale. E, coincidenza delle coincidenze, il principale camion antagonista è di nuovo un Western Star, come il buon vecchio Happy Toyz.


La causa della ribellione dei mezzi contro gli umani questa volta potrebbe essere una fuga tossica (in Brivido si trattava del passaggio di una cometa, nel racconto non si sa).

Il film fu girato a Gunton, Manitoba, Canada. Il cast non è stellare; segnalo la presenza di Aidan Devine, che ritroveremo nel 2009 in un altro film tratto da un racconto di King: Dolan's Cadillac.

Mitologica la cosiddetta tag-line del film (cioé quello che definiremmo lo slogan, o la frase di lancio): U-Turn, U-Die! Un simpatico gioco di parole che vuol dire una cosa del tipo “se ti giri muori”, ma che, usando la scritta “U-Turn” (letteralmente “svolta a U”), ci ricorda trattarsi di un film sull'educazione stradale.

Starai pensando che mi è sfuggito il mio solito cenno ironico alla traduzione del titolo. Ebbene no, anche questa volta, anche su un film che hanno visto in tre, regista compreso, il Magico Traduttore è riuscito a dire la sua, agganciando un bel "Trasporto Infernale" a rimorchio del titolo! Chapeau!


E visto che sono un ragazzo educato, ti lascio digerire questo bel polpettone e ti saluto, annunciando che la prossima volta cominceremo con il racconto numero nove del lotto, quello che in Italia è stato scelto per dare il titolo all'intera raccolta: A volte ritornano.

Max Pinkle

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